Case a torre di Viale Etiopia




Le Case a torre di Viale Etiopia si trovano lungo l'omonimo viale, situato nella parte del Quartiere Trieste nota come Quartiere Africano, e rappresentano un opera di architettura particolarmente significativa per l'Italia del dopoguerra.
Questo complesso abitativo affonda le radici nel Piano Casa di Amintore Fanfani, che dette importante impulso all'edilizia abitativa a partire dal 1949, e nel Neorealismo architettonico, che caratterizzò alcuni dei principali esempi di edilizia abitativa dell'epoca. Tale stile architettonico si basa sulla ricerca di un modo di abitare che guarda al passato e ritrova molti elementi nella vita di borgo, declinandosi partendo da questo in numerosi esempi anche apparentemente diversi tra di loro ma legati da numerosi tratti comuni.
A commissionare questo intervento fu l'INA Casa, il ramo dell'Istituto Nazionale Assicurazioni creato nel 1949 nell'ambito del Piano Fanfani e che fino al 1963 realizzò 350mila alloggi in tutta Italia. Per il luogo fu scelto Viale Etiopia, una strada all'estremo nord del Quartiere Africano, all'epoca in costruzione.

Viale Etiopia nella mappa dell'IGM del 1950

Nello specifico, l'area prevista era quella compresa tra il viale e Via Tripolitania, mentre la strada dall'altra parte si affacciava sulla ferrovia, e quel lato era all'epoca in parte occupato dalle baracche del Borghetto Nomentano. Tale area, secondo il piano regolatore, sarebbe dovuta essere occupata da edifici di carattere intensivo, e le torri vanno esattamente in questo senso.
A progettare il nuovo complesso fu in primis l'architetto Mario Ridolfi, coadiuvato dal tedesco Wolfgang Frankl e contando anche sul lavoro dell'ingegnere Arrigo Caré.
Ridolfi, sempre nell'ambito dell'INA-Casa, stava lavorando insieme a Quaroni e ad altri architetti al Tiburtino IV, opera radicalmente differente che richiama molto di più quella di un paesino. Nelle torri di Viale Etiopia, il lavoro è molto diverso.

La mappa del progetto

Il progetto di Ridolfi e Frankl è costituito da otto edifici di nove piani, caratterizzati da una struttura a vista di cemento armato dove le logge si alternano a pannelli montati a filo della struttura creando un'armoniosa alternanza di pieni e vuoti.



L'idea del progetto si pone in rottura con i progetti intensivi che si stavano sempre più diffondendo nelle città italiane in quel periodo, soprattutto negli interni, dove distribuisce gli alloggi in maniera più libera rispetto ai modelli schematici che stavano prendendo piede.



L'opera viene realizzata tra il 1951 e il 1954, ma nel 1953 ottiene già una notevole fortuna critica grazie a un articolo pubblicato sulla rivista Casabella da Giancarlo De Carlo, che definisce le torri un'opera "barbarica, robusta, abbandonata all'impeto dei sentimenti".

Le torri di Mario Fiorentino 


Nel 1960 l'architetto Mario Fiorentino, sull'altro lato di Viale Etiopia, realizzarà altri otto edifici a torre, differenti ma che rappresentano un dialogo, così come una continuazione urbana, delle torri di Ridolfi.


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