Funerali di Vittorio Emanuele II




Il 9 gennaio 1878 morì di polmonite, al Palazzo del Quirinale, a 58 anni, Vittorio Emanuele II di Savoia, primo Re d'Italia.
Grande fu il lutto che pervase tutto il paese, infatti l'identificazione della sua figura con il compimento dell'Unità Nazionale era molto forte e tanti reduci delle guerre per l'indipendenza vissero questa perdita con profondo dolore e viva costernazione.
Ben presto nacque il dilemma di dove seppellire il Re, poiché la Corte voleva utilizzare la Basilica di Superga di Torino, in cui erano poste le tombe dei Savoia da molti secoli. 
Invece fu Francesco Crispi, il Ministro degli Interni, a proporre il Pantheon, per ragioni patriottiche, politiche e per il sentimento popolare. Vittorio Emanuele II doveva rimanere infatti a Roma, la nuova Capitale del Regno, la scelta del Pantheon soddisfò anche il nuovo Re Umberto I, che era d'accordo che il padre rimanesse a Roma, a condizione che fosse sepolto in una chiesa, che non fosse una Basilica Papale.
Il Pantheon era perfetto come mausoleo Imperiale proprio per la sua origine Romana e per la perfetta integrità, che poneva la nuova dinastia dei Savoia direttamente in continuità con l'Antica Roma. Inoltre il Pantheon assumeva la connotazione di luogo dove la Nazione celebra e rende immortali i suoi eroi e grandi cittadini, così come era successo durante la Rivoluzione Francese a Parigi, con la trasformazione della Chiesa di Santa Genevieve nel Pantheon Nazionale.


Il 10 gennaio venne allestita la camera ardente nel Salone degli Svizzeri, progettata dall'architetto capo della Real Casa, ingegnere Gennaro Petagna. 
Egli elaborò un palco a gradini, sormontato da un baldacchino di velluto rosso, alla cui sommità fu esposta la salma del Re, in piano inclinato, vestita nell'uniforme di generale d'armata, col manto dell'Ordine Mauriziano e il collare della Santissima Annunziata.
La camera ardente fu aperta prima ai Sovrani, poi ai membri della diplomazia, del Governo e del Parlamento, infine a tutta la cittadinanza, per tre giorni consecutivi il 12, 13 e 14 gennaio.
Intanto a Roma si era radunata una folla giunta da tutta Italia, girava per le strade della città, il popolo Italiano si riversava nella Capitale, per dare addio al suo Re.
Il 17 gennaio alle ore 10.00 il corteo funebre partì solennemente dal Quirinale, dopo lo sparo di tre colpi di cannone, il Re era posto sulla carrozza funebre usata da Carlo Alberto. Il carro era coperto di corone e fiori e tirato da otto cavalli bardati, con pennacchi bianchi e neri.
Sei cordoni seguivano il carro, i primi quattro tenuti dalle rappresentanze delle Istituzioni, guidati da Depretis, Crispi, Tecchio e De Sanctis, gli ultimi due dai rappresentanti dell'Ordine Equestre dell'Annunziata.
Seguiva un gruppo di Generali, di Principi, tra cui il Principe Amedeo, il Principe Ranieri Arciduca d'Austria, il Principe Federico Guglielmo di Germania, il Principe ereditario del Portogallo e Guglielmo di Baden. Poi sfilavano i Reali Principi, gli Ufficiali dello Stato, il Corpo Diplomatico, i rappresentanti dei Governi stranieri, un corteo di mutilati, 80 bandiere portate da altrettanti Ufficiali dei reggimenti dell'Esercito, gli inviati di 300 città d'Italia ei membri di Senato e Camera. 
La spada del re fu portata a cavallo dal Generale Medici, primo aiutante in campo di Sua maestà mentre la Corona Ferrea, venuta da Monza, venne portata da Cesare Correnti, segretario del Gran Magistero Mauriziano, su un cuscino di velluto.


Ci vollero tre ore perché il feretro raggiungesse il Pantheon, lungo il percorso si era radunata infatti una folla enorme, di 50.000 persone, il corteo si svolse tra le Vie del Quirinale, Quattro Fontane, del Tritone, Due Macelli, Piazza di Spagna, Via Del Babuino, Via del Corso, Piazza del Collegio Romano, Piazza della Minerva e infine il Pantheon.


In quel momento il feretro venne portato dai Corazzieri dentro la chiesa e tutti i presenti si incrinarono, come ha descritto dettagliatamente De Amicis nel libro Cuore.
Il catafalco era stato progettato sempre dall'ingegnere Petagna, era a gradoni, vegliato da otto leoni imperiali, il feretro era sormontato dalla Corona di Ferro, la spada e l'elmo, mentre ai piedi erano posti il manto un'altra corona e lo scettro. 


Attorno si trovavano venti grandi candelabri illuminati da candele. In alto, lunghe strisce di velluto e partivano dal loculo e arrivavano alla base della cupola, sovrastando una serie di stemmi Sabaudi.
Il funerale terminò alle ore 10 con la tumulazione del feretro nella cappella posta dietro l'altare di San Rasio.
Il secondo funerale, il 16 febbraio, fu deciso dal Ministro Crispi, si trattava di vere e proprie Esequie di Stato. 
Michele Coppino, Ministro della Pubblica Istruzione, era responsabile delle decorazioni da realizzare al Pantheon per l'occasione, che dovevano essere particolarmente monumentali, esse furono affidate all'architetto Luigi Rosso, professore dell'Istituto Reale di Belle Arti. Egli si occupò decorare la piazza, la facciata del Pantheon e gli interni in maniera spettacolare.
All'esterno furono posti due grandi candelieri in finto marmo, con foglie fiori teste di arieti e di leoni, la piazza invece era adornata di antenne con pennoni, drappi funebri, stemmi e bandiere.


Fra le colonne di granito del Pantheon pendevano neri drappi bordati d'oro, mentre su ad esse erano posti scudi ovali bronzei Sabaudi, fra bandiere azzurre, tra i capitelli prendevano festoni rilevati a bronzo, sotto i drappi pendevano delle lampade di bronzo sostenute da tre catene.
Nei nicchioni laterali si trovavano due tripodi su piedistallo di marmo nero.
Nel fregio esterno si leggeva a lettere nere la scritta A VITTORIO EMANUELE II PADRE DELLA PATRIA.



Il grande timpano era occupato da una tela dipinta da Domenico Bruschi, a finto bassorilievo in bronzo dorato. Su tre gradini si trovava un'ara, con sopra seduto l'angelo della Risurrezione, ad ali spiegate, in basso si trovavano il mantello regale, lo scettro e la corona. A destra la personificazione di Roma con una corona di alloro, dietro Roma venivano le città italiane Napoli, Palermo e Perugia, all'angolo del timpano il Tevere. A sinistra si trovavano le città di Torino, Venezia, Milano e Brescia, mentre all'angolo erano stesi il Po e il Ticino.
Sul bordo del timpano si trovavano due Fame alate, poi una serie di antefisse, mentre l'acroterio era occupato da una grande aquila su trofei, le statue furono modellate da Girolamo Masini.


All'interno si trovava il maestoso catafalco: sopra una gradinata, su cui posavano quattro leoni agli angoli, si trovava un basamento di granito orientale, adorno di festoni con nastri pendenti dalla bocca di protomi leonine, intorno si ergevano quattordici candelabri di bronzo, sopra basi di porfido, sul basamento si trovava un piedistallo in giallo antico, su cui erano posti altri dodici candelabri. Sulla fronte anteriore del piedistallo era collocata un aquila in rilievo, con lo stemma di Savoia negli artigli. Due grandi statue, che raffiguravano le principali virtù del re, tenevano i lembi di un drappo di velluto cremisi con scritto V E, su cui era posta una enorme Corona Reale.
Sull'attico l'illuminazione scenografica era ottenuta con 140 lampade a gas, poste nei lacunari della cupola, sopra le quali si trovavano gli stemmi delle principali città Italiane. La cupola era rivestita da un un velo fiammeggiante di grandi stelle, poste in cinque giri, culminante nella Stella d'Italia, in corrispondenza dell'oculo.
Per per la realizzazione definitiva della tomba del Re bisognerà aspettare il 1888, anno in cui fu inaugurata, sul progetto di Manfredo Manfredi.


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